Vita da Mamma pendolare (estiva) e un velo di malinconia
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1 Luglio 2015: questa parte della mia vita la chiamerò (di nuovo) prendere il treno. Si ricomincia con la vita da mamma pendolare: gioie e dolori di una mamma che lavora e prende il treno e di un bimbo felice (o forse no?) al mare.
Mio figlio ha compiuto, da un mese circa, 2 anni, l’estate è ricominciata e questo significa che come l’anno scorso ho riiniziato a prendere il treno la mattina presto per andare a lavoro e lasciare mio figlio alle mie spalle: è un’esperienza che ho già vissuto l’altro anno, con tutti gli onori e gli oneri del caso. Come specificato sempre l’altro anno, ho la fortuna di avere una casa a Capalbio Scalo in Maremma e mio figlio ha quindi la possibilità di trascorrere il suo tempo lì con i nonni rosolandosi al sole (toscano) e soprattutto respirando l’aria salmastra e “buona”.
Lasciare che il mio piccolo stia in maniera stabile al mare è un “qualcosa” che gli devo: quest’anno ha avuto diversi malanni e il dottore si è raccomandato che io lo mandassi sulla costa il più possibile. Oltretutto a Roma sono previste temperature bollenti e in questo modo lo risparmio dall’afa cittadina e dalla calura asfissiante e poi “last but not least” in città si annoierebbe molto. Mandarlo quindi con i miei genitori nella nostra bella casetta in Maremma è una scelta giusta, saggia, direi “dovuta”; una scelta che fanno molte altre madri e che si rivela il più delle volte “vincente”.
Ma allora perché questo senso di vuoto mentre sono sul treno? Perché questa sensazione di malinconia? Sento una stretta al cuore mentre mi ripeto che è la scelta giusta.
A Roma lavoro vicino la stazione e quindi per me è molto facile prendere il treno che “comodamente” in due ore scarse mi porta a Capalbio: andrò a giorni alternati (quando esco prima dal lavoro) e quindi, la sera dei giorni in cui non andrò al mare, quando sarò a casa “sola” (gulp!) potrei anche concedermi qualche lusso che da tanto tempo non mi regalo: sfogliare una rivista in pace, guardare più di un episodio di una serie televisiva e organizzare i miei pasti senza alcun vincolo orario ma il gioco vale la candela?
La verità, credo, è che il senso di “lacerazione” fa parte di noi donne e in particolare di noi mamme: quel maledetto senso di colpa ci frega sempre. Una volta presa una decisione sarebbe cosa “buona e giusta” viverla senza remore e ripensamenti eppure sembra impossibile, quella vocina fa sempre capolino: “certo hai fatto la scelta giusta ma non è altrettanto giusto che un bimbo stia con sua madre? Che si svegli e la trovi accanto?” e via con le paranoie.
In realtà l’altro anno è stato altrettanto duro ma ho avuto più giorni di vacanza e quindi il distacco è stato per meno tempo, oltretutto ero ancora in fase allattamento e, quando rientravo, allattarlo era un modo di ritrovarmi istantaneamente con lui. Inoltre Baby P. aveva 1 anno e in un certo senso non realizzava appieno. Ora che ha 2 anni le cose si complicano: ieri gli ho spiegato che oggi sarebbe andato al mare con la nonna e la mamma sarebbe andata al lavoro e lui mi ha risposto “No nonna lavoro, mamma mare”.
Questo post è solo un piccolo sfogo per questo mio stato d’animo malinconico, la ricerca di un po’ di sostegno, la richiesta di ricevere un “pat pat” virtuale, una pacca sulla spalla. Noi mamme ostentiamo sicurezza, noi mamme travel blogger mostriamo al mondo come sia facile prendere un treno e via e poi ci ritroviamo a piangere lacrime amare se in quel treno non c’è il nostro piccolo.
Che dite me lo ripetete anche voi che ho fatto la scelta giusta e che non devo essere “egoista”? perché se fosse per me, in questo momento, mollerei tutto e tornerei da lui a dirgli “la mamma oggi non va al lavoro, sta con te” perché questa è la cosa più naturale e giusta che una mamma dovrebbe fare in un “mondo perfetto”.
Lucrezia…che dire…io mi sento così perché questa settimana ho iniziato a lavorare lontano da casa e non riesco più a vederlo in pausa. Non oso immaginare quando ad agosto sarà al mare in Abruzzo coi nonni e io lo raggiungerò nel week end.
Facciamoci dei grandi ‘pat pat’ sulle spalle purtroppo non possiamo essere onnipresenti e il loro benessere deve venire prima di tutto.
A noi non resta che piangere in treno/macchina 😉
Baci
ecco avevo proprio bisogno di un po’ di solidarietà:) Ho scritto questo post l’altra mattina mentre partivo con il treno consapevole del mese che mi aspetta e mi sentivo particolarmente malinconica: l’ho poi riletto e sono stata indecisa se pubblicarlo perchè temevo che fosse un po’ esasperato. So perfettamente che ci sono alcune persone che vorrebbero avere la fortuna di far passare le vacanze ai propri figli con i nonni e magari non possono perchè non hanno la casa, perchè i nonni non sono disponibili o semplicemente non hanno la possibilità e in questo senso non vorrei sembrare “ingrata” ma questo post riflette l’ansia da separazione, con cui so che devo fare i conti focalizzandomi sul fatto che questa è la scelta migliore ma ad ogni modo resta comunque il fatto che la mente poi si scontra sempre con il cuore, c’è poco da fare…
Sai che noi ci siamo conosciute proprio lo scorso anno, durante il tuo pendolarismo estivo. Credo che al di là delle angosce, tuo figlio un giorno sarà felice di aver passato queste estati al mare… poi ti troverai angosciata quando, adolescente, ti chiederà: Quando te ne vai al lavoro?
Ricordo bene 🙂 come ho scritto nell’altro commento so che forse questo post è un po’ esasperato ma forse ero particolarmente stanca quando l’ho scritto: ero indecisa se pubblicarlo perchè mi sento egoista ma ho deciso di farlo lo stesso, come piccolo sfogo. So che è la scelta giusta…ma il il mio cruccio comunque non è il fatto che lui sia al mare piuttosto che è il fatto che io non sia al mare ahahahah Quindi dici che dopo, invece che “mamma mare”, lui mi dirà qualcosa del tipo “mamma smamma”?? 😉
Ricordo ancora quando da piccolina vivevo male il fatto che mia madre lavorasse.
Io all’uscita della scuola trovavo la baby-sitter, gli altri la mamma. Al massimo la nonna.
Senza saperlo accrescevo il senso di colpa di mia madre dicendo “dai… licenziati, io voglio stare più tempo con te e giocare!”. Quanto avrà sofferto.
Poi sono cresciuta, e ho capito cosa vuol dire fare sacrifici: mia madre la mattina si svegliava alle 5 per prepararmi il pranzo, scappare a lavoro e tornare il prima possibile per giocare con me, fare le pulizie e rimettersi a cucinare. Tutto per permettermi un futuro migliore. Chissà se riuscirò mai ad essere una mamma come lei.
Stringi i denti, sono sicura che Baby P. un giorno capirà.
Ciao Viola, che bello il tuo commento, davvero non sai quanto mi abbia fatto piacere. Mi sono immaginata la scena di te piccola e poi ho pensato alla sofferenza di tua madre dall’altra parte. Spero davvero che Baby P. diventi un ometto saggio come te 🙂 Grazie davvero!
Ti dirò di più… quando il piccolino sarà grande oltre ad apprezzare la sua mamma coraggiosa, ricorderà con affetto e grande nostalgia le estati dai nonni tra giochi e infinite coccole… ahhhh se potessi tornare indietro. 😀